Marco Maria GazzanoSegnali di vita dal pianeta terra
Lino Strangis è – oggi – un trentenne appassionato. Artista colto e anche un po’ filosofo, come – oggi – dovrebbe essere per tutti coloro che si misurano con il complesso e vario universo delle “arti”, Strangis è al tempo stesso compositore e videasta, cinéphile e fotografo, “designer” della visione e attivista web: un “artigiano” multimediale capace di misurarsi (espressivamente, qualitativamente) sia con l’intermedialità che con le eredità della storia, sia con la manualità che con gli obbiettivi, le macchine da presa e le tastiere. E, ovviamente, con le sfide ancora aperte del presente.Le sue opere ci parlano con grande attenzione alla forma, sia dell’immagine che del suono; con grande cura nella costruzione degli eventi, di grande energia negli interventi cromatici e spazio-temporali sulle sequenze: riprese da egli stesso o “strappate” dal web con un originale e seducente atto performativo di riconsiderazione di immagini e/o micro sequenze apparentemente banali o apparente in-significanti o semplicemente sottese ad altre considerate più “importanti” nelle convenzioni e per gli stereotipi dei media.Le sue immagini – per di più – sono correttamente, propriamente “immagini-suono”.Strangis lo sa, l’audiovisione non è solo un’evocazione teorica, ma una pratica tecnologica ed espressiva specifica: la parola, se serve, va usata poco, come immagine tra le immagini. Per questo egli parte sempre dalla “faccia” sonora delle immagini elettroniche, coniugandola poi (ma il processo compositivo è quasi istantaneo, coesistente nella progettazione concettuale come nella pratica “videoartigiana” dell’artista) con la dimensione del visibile, del colore e delle temporalità; sempre ri-costruite, non naturalisticamente, grazie alle tecniche di post-produzione numerica.La natura fotografica (e compositiva in senso musicale) delle sue videografie è evidente: anche quando si tratta di immagini “di ritorno”: che ci ri-appaiono nelle sequenze animate e nelle videoinstallazioni (sempre più spesso video sculture ambientali) dopo il lungo viaggio mentale con il quale l’autore le ha accompagnate – quasi immergendole a una a una – nel flusso vivificatore del cinema, ma anche delle storie dell’arte come di quelle della videoarte.Di qui le ascendenze, riconoscibili e non ingenue – e proprio per questo funzionali – punto fermo per viaggi ulteriori nella conoscenza di sé: le video cartoline romane di Sasso in Visioni di un mezzogiorno (in “Videocarillon” III tipo, n. 4; del 2007), le nebbie inquietanti e metaforiche di Antonioni in Posologia del pericolo (2008), i rallentamenti e le trasparenze temporali di Cahen evocate dalla giovane danzatrice nella leggiadria e nell’intensità poetica di Autopoiesis activity (2008), la natura innaturale di Fontana e Burri nella plasticità aerea del volo degli storni su Roma in Sky-noise…armonie del caos (2008) o nel fiume, metafora classica del Tempo, ripreso dall’alto, colorato di sangue e tagliato da una canoa come da un rasoio di For ever Sunset…eternal trip of Time (2008), le accelerazioni parossistiche e i contemporanei rallentamenti nel ritmo frenetico degli abitanti ormai spersonalizzati nelle metropoli di Reggio in La città che sale e scende (dalla trilogia “Città oltre…il corpo liquido dell’urbe” del 2008/2009)… Senza dimenticare le nature morte disturbanti e ibernate di White Time of Life (2009) estese nell’eternità dagli interstizi del web. Tante evocazioni quanto i moltissimi video della produzione di Strangis: ma mai “citazioni” accademiche; piuttosto punti di partenza, incipit per nuove scritture, intermittenze del cuore semmai e –sempre – atti d’amore per gli autori e i critici amati da un autore – appunto – innamorato dell’arte.Innamorato dell’arte ma anche della funzione sociale dell’arte.Che si occupa del tempo non lineare e della teoria del caos, dell’identità multipla del soggetto come dei processi metaforici che sovrintendono alle pratiche espressive, che condivide il pessimismo illuminista di Baudrillard e il radicalismo no logo di Naomi Klein, le posizioni della Sontag e di Barthes sulla fotografia come istante di vita: ma anche capace di porsi istanze non solo esteticamente ma eticamente sensibili. Sull’ecologia (dello Spirito, della Natura e dei Media); così come sui marginali della società nell’impegnativo progetto La Voce degli Inascoltabili (2009) nel quale i corpi degli intervistati raccontano storie di vita dura immersi nella luce: ma senza riuscire a farsi capire da noi, distratti e teledipendenti “videoascoltatori”.Nei suoi “segnali dal pianeta Terra” Strangis si pone domande filosofiche alte e, come per tutti, non gli basterà una vita di ricerca per trovare le risposte. La stessa estrema prolificità del suo lavoro, la stessa scelta di opere brevi e intense come istanti di tensione (magari estesi a “loop” nelle successive videoinstallazioni) dichiara sia l’amore autentico per la ricerca che l’insoddisfazione – la quale gli fa onore, come a ogni autentico artista – per i risultati.È comunque importante ascoltarlo: perché non è usuale per un artista dopo il 2001 (“giovane” come vuole la moda e la retorica dei media e del potere oggi) farsi queste domande e porsi tali questioni.«Sono un accanito sostenitore delle enormi potenzialità aperte dalle tecnologie in ogni campo della conoscenza, compresa ovviamente l’arte» (…) «Alla continua evoluzione delle tecnologie non equivale più affatto un progresso del pensiero» (…) «Viviamo anzi una fase fortemente reazionaria e di grande immobilismo culturale» (…) «Ciò che ricerco è la natura profonda dell’audiovisione elettronica ed in fondo la natura della natura stessa: la mia ricerca è in primo luogo rivolta alla verità che è in tutte le cose e quindi alla condizione dell’uomo all’interno dell’esistente tutto» (…) «Il mio strumento poetico principale è l’alterazione della cosi detta visione naturale (…) ecco perché uso sempre tanti effetti di ri-colorazione, ristrutturazione, ri-modellizzazione del dato “reale” che raccolgo: la mutazione, il movimento, la motilità e la variazione della percezione ci “suggeriscono” che lo stesso concetto di realtà va superato, che la stessa idea di questa non è che la storica presunzione dell’uomo occidentale di essere soggetto principe del mondo, di detenere la visione esatta delle cose» (…) «Bisogna prima di tutto minare alla base l’idea diffusa di ciò che si vede in televisione sia la realtà (…) per questo le mie audiovisione dichiarano al contrario immediatamente il loro essere finzione e proprio in quanto tali acquisiscono valore di verità, una verità relativa esclusivamente al contesto spaziale e mentale che riescono ad interessare con la loro presenza».Dichiarazioni impegnative, ardenti addirittura: non solo da “giovane artista”, ma da cittadino consapevole; il quale – nel paesaggio di macerie che i circonda dopo il “delitto perfetto” compiuto dal potere con l’uso cinico dei media contro la realtà- ancora intravede una prospettiva di progresso; non che le videografie, le installazioni, le fotografie digitali o le musiche di Strangis siano dichiaratamente “politiche”. Non lo sono affatto, anzi, astratte, leggere e fluide qual sono. Ma – come ogni antidoto immesso nel corpo sociale della comunicazione –anche le forme brevi di questo autore contribuiscono a svelare, anche agli ignavi e ai distratti, che una resistenza all’azzeramento della comunicazione indotto dall’eccesso di comunicazione, è ancora possibile.
Lino Strangis è – oggi – un trentenne appassionato. Artista colto e anche un po’ filosofo, come – oggi – dovrebbe essere per tutti coloro che si misurano con il complesso e vario universo delle “arti”, Strangis è al tempo stesso compositore e videasta, cinéphile e fotografo, “designer” della visione e attivista web: un “artigiano” multimediale capace di misurarsi (espressivamente, qualitativamente) sia con l’intermedialità che con le eredità della storia, sia con la manualità che con gli obbiettivi, le macchine da presa e le tastiere. E, ovviamente, con le sfide ancora aperte del presente.Le sue opere ci parlano con grande attenzione alla forma, sia dell’immagine che del suono; con grande cura nella costruzione degli eventi, di grande energia negli interventi cromatici e spazio-temporali sulle sequenze: riprese da egli stesso o “strappate” dal web con un originale e seducente atto performativo di riconsiderazione di immagini e/o micro sequenze apparentemente banali o apparente in-significanti o semplicemente sottese ad altre considerate più “importanti” nelle convenzioni e per gli stereotipi dei media.Le sue immagini – per di più – sono correttamente, propriamente “immagini-suono”.Strangis lo sa, l’audiovisione non è solo un’evocazione teorica, ma una pratica tecnologica ed espressiva specifica: la parola, se serve, va usata poco, come immagine tra le immagini. Per questo egli parte sempre dalla “faccia” sonora delle immagini elettroniche, coniugandola poi (ma il processo compositivo è quasi istantaneo, coesistente nella progettazione concettuale come nella pratica “videoartigiana” dell’artista) con la dimensione del visibile, del colore e delle temporalità; sempre ri-costruite, non naturalisticamente, grazie alle tecniche di post-produzione numerica.La natura fotografica (e compositiva in senso musicale) delle sue videografie è evidente: anche quando si tratta di immagini “di ritorno”: che ci ri-appaiono nelle sequenze animate e nelle videoinstallazioni (sempre più spesso video sculture ambientali) dopo il lungo viaggio mentale con il quale l’autore le ha accompagnate – quasi immergendole a una a una – nel flusso vivificatore del cinema, ma anche delle storie dell’arte come di quelle della videoarte.Di qui le ascendenze, riconoscibili e non ingenue – e proprio per questo funzionali – punto fermo per viaggi ulteriori nella conoscenza di sé: le video cartoline romane di Sasso in Visioni di un mezzogiorno (in “Videocarillon” III tipo, n. 4; del 2007), le nebbie inquietanti e metaforiche di Antonioni in Posologia del pericolo (2008), i rallentamenti e le trasparenze temporali di Cahen evocate dalla giovane danzatrice nella leggiadria e nell’intensità poetica di Autopoiesis activity (2008), la natura innaturale di Fontana e Burri nella plasticità aerea del volo degli storni su Roma in Sky-noise…armonie del caos (2008) o nel fiume, metafora classica del Tempo, ripreso dall’alto, colorato di sangue e tagliato da una canoa come da un rasoio di For ever Sunset…eternal trip of Time (2008), le accelerazioni parossistiche e i contemporanei rallentamenti nel ritmo frenetico degli abitanti ormai spersonalizzati nelle metropoli di Reggio in La città che sale e scende (dalla trilogia “Città oltre…il corpo liquido dell’urbe” del 2008/2009)… Senza dimenticare le nature morte disturbanti e ibernate di White Time of Life (2009) estese nell’eternità dagli interstizi del web. Tante evocazioni quanto i moltissimi video della produzione di Strangis: ma mai “citazioni” accademiche; piuttosto punti di partenza, incipit per nuove scritture, intermittenze del cuore semmai e –sempre – atti d’amore per gli autori e i critici amati da un autore – appunto – innamorato dell’arte.Innamorato dell’arte ma anche della funzione sociale dell’arte.Che si occupa del tempo non lineare e della teoria del caos, dell’identità multipla del soggetto come dei processi metaforici che sovrintendono alle pratiche espressive, che condivide il pessimismo illuminista di Baudrillard e il radicalismo no logo di Naomi Klein, le posizioni della Sontag e di Barthes sulla fotografia come istante di vita: ma anche capace di porsi istanze non solo esteticamente ma eticamente sensibili. Sull’ecologia (dello Spirito, della Natura e dei Media); così come sui marginali della società nell’impegnativo progetto La Voce degli Inascoltabili (2009) nel quale i corpi degli intervistati raccontano storie di vita dura immersi nella luce: ma senza riuscire a farsi capire da noi, distratti e teledipendenti “videoascoltatori”.Nei suoi “segnali dal pianeta Terra” Strangis si pone domande filosofiche alte e, come per tutti, non gli basterà una vita di ricerca per trovare le risposte. La stessa estrema prolificità del suo lavoro, la stessa scelta di opere brevi e intense come istanti di tensione (magari estesi a “loop” nelle successive videoinstallazioni) dichiara sia l’amore autentico per la ricerca che l’insoddisfazione – la quale gli fa onore, come a ogni autentico artista – per i risultati.È comunque importante ascoltarlo: perché non è usuale per un artista dopo il 2001 (“giovane” come vuole la moda e la retorica dei media e del potere oggi) farsi queste domande e porsi tali questioni.«Sono un accanito sostenitore delle enormi potenzialità aperte dalle tecnologie in ogni campo della conoscenza, compresa ovviamente l’arte» (…) «Alla continua evoluzione delle tecnologie non equivale più affatto un progresso del pensiero» (…) «Viviamo anzi una fase fortemente reazionaria e di grande immobilismo culturale» (…) «Ciò che ricerco è la natura profonda dell’audiovisione elettronica ed in fondo la natura della natura stessa: la mia ricerca è in primo luogo rivolta alla verità che è in tutte le cose e quindi alla condizione dell’uomo all’interno dell’esistente tutto» (…) «Il mio strumento poetico principale è l’alterazione della cosi detta visione naturale (…) ecco perché uso sempre tanti effetti di ri-colorazione, ristrutturazione, ri-modellizzazione del dato “reale” che raccolgo: la mutazione, il movimento, la motilità e la variazione della percezione ci “suggeriscono” che lo stesso concetto di realtà va superato, che la stessa idea di questa non è che la storica presunzione dell’uomo occidentale di essere soggetto principe del mondo, di detenere la visione esatta delle cose» (…) «Bisogna prima di tutto minare alla base l’idea diffusa di ciò che si vede in televisione sia la realtà (…) per questo le mie audiovisione dichiarano al contrario immediatamente il loro essere finzione e proprio in quanto tali acquisiscono valore di verità, una verità relativa esclusivamente al contesto spaziale e mentale che riescono ad interessare con la loro presenza».Dichiarazioni impegnative, ardenti addirittura: non solo da “giovane artista”, ma da cittadino consapevole; il quale – nel paesaggio di macerie che i circonda dopo il “delitto perfetto” compiuto dal potere con l’uso cinico dei media contro la realtà- ancora intravede una prospettiva di progresso; non che le videografie, le installazioni, le fotografie digitali o le musiche di Strangis siano dichiaratamente “politiche”. Non lo sono affatto, anzi, astratte, leggere e fluide qual sono. Ma – come ogni antidoto immesso nel corpo sociale della comunicazione –anche le forme brevi di questo autore contribuiscono a svelare, anche agli ignavi e ai distratti, che una resistenza all’azzeramento della comunicazione indotto dall’eccesso di comunicazione, è ancora possibile.
Enrico CocuccioniVideometafore nel tempo della crisi
Il tempo della crisi nell’arte si manifesta con alcuni significativi cambiamenti nelle forme della rappresentazione. Crisi del supposto realismo che caratterizzava il culto della fotografiadocumento.Crisi dell’idea di flusso in tempo reale, o della presa diretta dei media tecnologici sulla quotidianità, con la relativa attribuzione metaforica ai linguaggi elettronici del video di una connotazione “liquida” contrapposta alla relativa “solidità”, o durata nel tempo, ascrivibile alle altre forme d’espressione plastico-visuali (fotografia compresa). Ma anche crisi, sul fronte dei nuovi media digitali, di quel mito dell’immaterialità e della totale virtualizzazione dell’esperienza che ha permeato l’enfasi “postumana” tipica dell’arte degli anni ‘90 del secolo scorso. Ora invece appare evidente che la stessa fotografia, con la diffusione ormai ad ogni livello delle tecniche digitali, diventa essa stessa una materia espressiva plasmabile a volontà, totalmente manipolabile con i programmi informatici. Per altro verso, il flusso video non può che subire una letterale segmentazione numerica, un processo analitico di campionamento e dunque di relativa “solidificazione” compositiva e riproduttiva. Avviene così un conseguente rilancio della fase del montaggio, della rielaborazione postuma delle immagini rispetto al momento iniziale della ripresa. Non più flusso ininterrotto, dunque, bensì ‘animazione’, per così dire, di singoli quadri disposti su più livelli compositivi stratificati. Infine, sul fronte del virtuale, l’idea stessa di immaterialità cambia di segno proprio nel momento in cui si pone l’accento su di una sfera sensoriale sempre più avvolgente e tangibile, tale da configurare veri e propri ambienti concreti, installazioni che hanno una evidente consistenza “plastico-scultorea”. La manipolazione digitale del video, quindi, non elimina ma anzi, in qualche misura, rafforza il suo statuto di “oggetto”, di entità talora persino ingombrante, in grado cioè di occupare un luogo preesistente e di modificarne l’impatto sensoriale, aprendo lo spazio a ulteriori significazioni. Il lavoro di Lino Strangis tiene conto della distanza storica che ormai ci separa dalle prime ricerche videoartistiche. Le sue opere seguono la vocazione compositiva di un processo metaforico che tiene ben presente questo nuovo contesto dell’arte. Rispetto ad un frenetico e regressivo “pseudo realismo” con cui si affrontano in genere le nuove tecniche della rappresentazione nell’attuale orizzonte mediatico, Strangis sceglie apertamente altre strade, in quanto autore consapevole dello scarto esistente tra la concretezza di ogni artefatto figurale e la vivida evanescenza delle immagini mentali.Un lavoro che investe nello stesso tempo, e con analoghi procedimenti compositivi, sia il campo della visione che l’immersione sonora dell’ascolto.“Musica per gli occhi” e “fotografie animate” in un medesimo spazio plastico e performativo, come suggerisce lo stesso artista. L’opera mette in scena la continuità di un’esperienza che non prevede i tipici salti temporali del montaggio cinematografico, ma che neppure pretende di offrirsi come “presa diretta” sulla realtà, come fosse la semplice registrazione in tempo reale di un evento. La distanza critica che il lavoro di Strangis assume rispetto alle odierne ideologie della trasparenza mediatica, non potrebbe infatti essere segnalata con maggiore chiarezza. Alla velocità, alla incessante “variabilità” delle immagini televisive, l’artista spesso contrappone la lentezza delle sequenze, la “serialità iterativa” degli elementi figurali anche all’interno delle singole inquadrature. Ciò talora configura una sorta di mosaico, di tessitura modulare che suddivide la superficie dello schermo producendo effetti percettivi stranianti. Allo sviluppo narrativo lineare, Strangis preferisce la circolarità ricorsiva, il tempo ciclico delle sequenze “ad anello” che si offrono allo sguardo mobile dello spettatore nello spazio scenico delle sue installazioni. In estrema sintesi, il processo metaforico che è alla base di queste opere si propone oggi, nel tempo della crisi, come un pensiero critico in azione, antitetico rispetto alle modalità tipiche della odierna rappresentazione televisiva del “mondo”, capace anche di riprendere il filo di una ricerca espressiva che ha trovato illustri precursori nel secolo scorso, ma che ora può suggerire nuovi percorsi verso territori dell’arte ancora inesplorati.
Il tempo della crisi nell’arte si manifesta con alcuni significativi cambiamenti nelle forme della rappresentazione. Crisi del supposto realismo che caratterizzava il culto della fotografiadocumento.Crisi dell’idea di flusso in tempo reale, o della presa diretta dei media tecnologici sulla quotidianità, con la relativa attribuzione metaforica ai linguaggi elettronici del video di una connotazione “liquida” contrapposta alla relativa “solidità”, o durata nel tempo, ascrivibile alle altre forme d’espressione plastico-visuali (fotografia compresa). Ma anche crisi, sul fronte dei nuovi media digitali, di quel mito dell’immaterialità e della totale virtualizzazione dell’esperienza che ha permeato l’enfasi “postumana” tipica dell’arte degli anni ‘90 del secolo scorso. Ora invece appare evidente che la stessa fotografia, con la diffusione ormai ad ogni livello delle tecniche digitali, diventa essa stessa una materia espressiva plasmabile a volontà, totalmente manipolabile con i programmi informatici. Per altro verso, il flusso video non può che subire una letterale segmentazione numerica, un processo analitico di campionamento e dunque di relativa “solidificazione” compositiva e riproduttiva. Avviene così un conseguente rilancio della fase del montaggio, della rielaborazione postuma delle immagini rispetto al momento iniziale della ripresa. Non più flusso ininterrotto, dunque, bensì ‘animazione’, per così dire, di singoli quadri disposti su più livelli compositivi stratificati. Infine, sul fronte del virtuale, l’idea stessa di immaterialità cambia di segno proprio nel momento in cui si pone l’accento su di una sfera sensoriale sempre più avvolgente e tangibile, tale da configurare veri e propri ambienti concreti, installazioni che hanno una evidente consistenza “plastico-scultorea”. La manipolazione digitale del video, quindi, non elimina ma anzi, in qualche misura, rafforza il suo statuto di “oggetto”, di entità talora persino ingombrante, in grado cioè di occupare un luogo preesistente e di modificarne l’impatto sensoriale, aprendo lo spazio a ulteriori significazioni. Il lavoro di Lino Strangis tiene conto della distanza storica che ormai ci separa dalle prime ricerche videoartistiche. Le sue opere seguono la vocazione compositiva di un processo metaforico che tiene ben presente questo nuovo contesto dell’arte. Rispetto ad un frenetico e regressivo “pseudo realismo” con cui si affrontano in genere le nuove tecniche della rappresentazione nell’attuale orizzonte mediatico, Strangis sceglie apertamente altre strade, in quanto autore consapevole dello scarto esistente tra la concretezza di ogni artefatto figurale e la vivida evanescenza delle immagini mentali.Un lavoro che investe nello stesso tempo, e con analoghi procedimenti compositivi, sia il campo della visione che l’immersione sonora dell’ascolto.“Musica per gli occhi” e “fotografie animate” in un medesimo spazio plastico e performativo, come suggerisce lo stesso artista. L’opera mette in scena la continuità di un’esperienza che non prevede i tipici salti temporali del montaggio cinematografico, ma che neppure pretende di offrirsi come “presa diretta” sulla realtà, come fosse la semplice registrazione in tempo reale di un evento. La distanza critica che il lavoro di Strangis assume rispetto alle odierne ideologie della trasparenza mediatica, non potrebbe infatti essere segnalata con maggiore chiarezza. Alla velocità, alla incessante “variabilità” delle immagini televisive, l’artista spesso contrappone la lentezza delle sequenze, la “serialità iterativa” degli elementi figurali anche all’interno delle singole inquadrature. Ciò talora configura una sorta di mosaico, di tessitura modulare che suddivide la superficie dello schermo producendo effetti percettivi stranianti. Allo sviluppo narrativo lineare, Strangis preferisce la circolarità ricorsiva, il tempo ciclico delle sequenze “ad anello” che si offrono allo sguardo mobile dello spettatore nello spazio scenico delle sue installazioni. In estrema sintesi, il processo metaforico che è alla base di queste opere si propone oggi, nel tempo della crisi, come un pensiero critico in azione, antitetico rispetto alle modalità tipiche della odierna rappresentazione televisiva del “mondo”, capace anche di riprendere il filo di una ricerca espressiva che ha trovato illustri precursori nel secolo scorso, ma che ora può suggerire nuovi percorsi verso territori dell’arte ancora inesplorati.
Eloisa SaldariOltre lo spazio ed il tempo
Quando ho visto per la prima volta un video di Lino Strangis ho avuto la sensazione di essere avvolta da un’onda di moltitudini. Come in una visione simultanea i suoi lavori mostrano un variegato mosaico di mondi pensabili e inimmaginabili. “Se questo è il migliore dei mondi possibili, allora dove sono gli altri?”1 sembra chiedersi Strangis quasi incarnasse un moderno Candide voltairiano.La realtà, nella sua apparente oggettività e veridicità, nasconde una natura artefatta, spesso ingannevole.Con i suoi video Lino Strangis sembra voler aprire una finestra su un altro mondo scevro dai condizionamenti e dalle costruzioni umane. La manipolazione di immagini, figure e forme, prese in prestito al mondo reale o virtuale, rivela un insaziabile desiderio di sconfinare in una realtà altra. Nei suoi video astrae e costruisce il mondo, pensa e crea realtà alternative che sembrano manifestarsi oltre i confini spazio-temporali conosciuti. Il tempo corre su binari circolari e la storia si ripete all’infinito in altre dimensioni e in differenti realtà.Il passato, il presente ed il futuro accadono nello stesso momento in universi simultanei che esistono sincronicamente gli uni negli altri, come in gioco di scatole cinesi. Allora tutto è possibile sembra dirci Strangis, anche incontrare una copia spettrale di noi stessi che esiste in un altro tempo e in un’altra dimensione.Nei video di Strangis convergono le influenze del mondo reale e virtuale.I personaggi di One Moment, ad esempio, sembrano seguire le orme dei protagonisti dei romanzi di Jonathan Carroll o dei film di David Lynch. Come in Lost Highways e in Mulholland Drive gli inconsapevoli attori scelti da Strangis camminano lungo un percorso tutt’altro che lineare. Abbattono le barriere spaziotemporali e migrano da una dimensione ad un’altra come seguissero l’andamento del nastro di Möbius.Non troppo distante dall’Escher dalle diverse versioni della Striscia di Möbius e da Salita e discesa, Lino Strangis sembra seguire la logica del nastro.La città che sale e scende, pur richiamando l’opera futurista di Boccioni, mostra di aver assorbito la lezione escheriana. L’immagine doppia e speculare della città, scandita dal movimento delle auto, ricorda, nell’andamento ascensionale e discensionale, il movimento dei monaci che, nell’opera di Escher, salgono e scendono in un ciclo infinito.Sembra quasi di entrare nella bizzarra logica di un paradosso.Lino Strangis pone l’accento su temi che ancora oggi appaiono irrisolti e che, in quanto eterni, tormentano non solo artisti, ma anche filosofi e scienziati. Il rapporto tra il reale e la sua rappresentazione, il tempo e lo spazio, ripetizione e unicità, finito e infinito sono solo alcuni degli aspetti toccati da Strangis. Le sue opere-video sono superfici specchianti che riflettono il mondo visibile ed invisibile. Come affermava Escher nel 1952 “La nostra conoscenza è molto limitata, conosciamo soltanto una parte minuscola del mondo in cui viviamo”2.Strangis svela una realtà che si ripete all’infinito, ora uguale e ora diversa da se stessa, quale soggetto di un gioco di specchi che posti gli uni di fronte agli altri raddoppiano senza fine l’immagine riflessa, in eterno. Ma allora, forse, “realtà è soltanto una parola”3 per il protagonista di Multy Identity Man. Moderno Narciso che si specchia nelle acque dell’inconscio, il giovane incrementa la sua presenza senza alcun controllo. In un gioco caleidoscopico l’uomo del video si moltiplica per ascoltare il suono dell’orchestra del suo io. Le sue personalità convivono.“Ognuno di noi è più di uno”, scrisse Pessoa, “è molti, è una prolissità di se stesso”4. Identico eppur così diverso da sé, l’uomo mostra le sue identità multiple che si guardano, si osservano, si scorgono, ma non si conoscono.Nasce un mondo interiore sfaccettato e indecifrabile dove, come in una composizione frattale, l’uno è il tutto e il tutto uno.Strangis mostra il totale nel particolare e il particolare nel totale. Lo fa scrutando i differenti gradi umorali dell’uomo, ma ci riesce anche scomponendo e ricomponendo la realtà. Non si accontenta di mostrarci un singolo individuo, un’unica realtà: usa tutti i mezzi che la tecnologia pone a sua disposizione per dimostrarci che i punti di vista sono infiniti.Mettendo a dura prova le capacità percettive dello spettatore Lino Strangis gioca con la realtà riproponendola da ogni prospettiva possibile. Ingrandite,ridotte, ravvicinate, rallentate o velocizzate, le immagini del mondo si mostrano contemporaneamente. In No Gravity Match on the World Strangis svela simultaneamente i profili esistenti dello stesso evento. I giocatori di rugby, come eserciti che si scontrano su un campo di battaglia, gareggiano sul terreno da gioco. I corpi si scontrano, si accavallano, si sovrastano, creando a volte composizioni circolari che si sovrappongono alla forma stessa del pianeta Terra. Strangis svela il conflitto, il braccio di ferro tra l’individuo e il mondo che sempre di più si piega al volere e al potere dell’uomo. Ed ecco che la Terra diventa campo di azione e oggetto di contesa allo stesso tempo.Lino Strangis scruta il mondo e le sue realtà. Ne preleva le immagini e le stravolge per edificare un ordine sconosciuto. Altera lo spazio comune e pone lo sguardo su un cosmo dove nulla può accadere una sola volta e tutto quel che esiste è già avvenuto e occorrerà nuovamente. Il mondo non è che un microcosmo, sembra dirci Strangis, un simbolico specchio dell’universo.
1 Voltaire, Candide, Mondadori2 M. C. Escher, Nell’occhio di Escher, Electa, Milano, 20043 W. Shakespeare, La Tempesta, Mondadori4 F. Pessoa, Il poeta è un fingitore, Feltrinelli
Quando ho visto per la prima volta un video di Lino Strangis ho avuto la sensazione di essere avvolta da un’onda di moltitudini. Come in una visione simultanea i suoi lavori mostrano un variegato mosaico di mondi pensabili e inimmaginabili. “Se questo è il migliore dei mondi possibili, allora dove sono gli altri?”1 sembra chiedersi Strangis quasi incarnasse un moderno Candide voltairiano.La realtà, nella sua apparente oggettività e veridicità, nasconde una natura artefatta, spesso ingannevole.Con i suoi video Lino Strangis sembra voler aprire una finestra su un altro mondo scevro dai condizionamenti e dalle costruzioni umane. La manipolazione di immagini, figure e forme, prese in prestito al mondo reale o virtuale, rivela un insaziabile desiderio di sconfinare in una realtà altra. Nei suoi video astrae e costruisce il mondo, pensa e crea realtà alternative che sembrano manifestarsi oltre i confini spazio-temporali conosciuti. Il tempo corre su binari circolari e la storia si ripete all’infinito in altre dimensioni e in differenti realtà.Il passato, il presente ed il futuro accadono nello stesso momento in universi simultanei che esistono sincronicamente gli uni negli altri, come in gioco di scatole cinesi. Allora tutto è possibile sembra dirci Strangis, anche incontrare una copia spettrale di noi stessi che esiste in un altro tempo e in un’altra dimensione.Nei video di Strangis convergono le influenze del mondo reale e virtuale.I personaggi di One Moment, ad esempio, sembrano seguire le orme dei protagonisti dei romanzi di Jonathan Carroll o dei film di David Lynch. Come in Lost Highways e in Mulholland Drive gli inconsapevoli attori scelti da Strangis camminano lungo un percorso tutt’altro che lineare. Abbattono le barriere spaziotemporali e migrano da una dimensione ad un’altra come seguissero l’andamento del nastro di Möbius.Non troppo distante dall’Escher dalle diverse versioni della Striscia di Möbius e da Salita e discesa, Lino Strangis sembra seguire la logica del nastro.La città che sale e scende, pur richiamando l’opera futurista di Boccioni, mostra di aver assorbito la lezione escheriana. L’immagine doppia e speculare della città, scandita dal movimento delle auto, ricorda, nell’andamento ascensionale e discensionale, il movimento dei monaci che, nell’opera di Escher, salgono e scendono in un ciclo infinito.Sembra quasi di entrare nella bizzarra logica di un paradosso.Lino Strangis pone l’accento su temi che ancora oggi appaiono irrisolti e che, in quanto eterni, tormentano non solo artisti, ma anche filosofi e scienziati. Il rapporto tra il reale e la sua rappresentazione, il tempo e lo spazio, ripetizione e unicità, finito e infinito sono solo alcuni degli aspetti toccati da Strangis. Le sue opere-video sono superfici specchianti che riflettono il mondo visibile ed invisibile. Come affermava Escher nel 1952 “La nostra conoscenza è molto limitata, conosciamo soltanto una parte minuscola del mondo in cui viviamo”2.Strangis svela una realtà che si ripete all’infinito, ora uguale e ora diversa da se stessa, quale soggetto di un gioco di specchi che posti gli uni di fronte agli altri raddoppiano senza fine l’immagine riflessa, in eterno. Ma allora, forse, “realtà è soltanto una parola”3 per il protagonista di Multy Identity Man. Moderno Narciso che si specchia nelle acque dell’inconscio, il giovane incrementa la sua presenza senza alcun controllo. In un gioco caleidoscopico l’uomo del video si moltiplica per ascoltare il suono dell’orchestra del suo io. Le sue personalità convivono.“Ognuno di noi è più di uno”, scrisse Pessoa, “è molti, è una prolissità di se stesso”4. Identico eppur così diverso da sé, l’uomo mostra le sue identità multiple che si guardano, si osservano, si scorgono, ma non si conoscono.Nasce un mondo interiore sfaccettato e indecifrabile dove, come in una composizione frattale, l’uno è il tutto e il tutto uno.Strangis mostra il totale nel particolare e il particolare nel totale. Lo fa scrutando i differenti gradi umorali dell’uomo, ma ci riesce anche scomponendo e ricomponendo la realtà. Non si accontenta di mostrarci un singolo individuo, un’unica realtà: usa tutti i mezzi che la tecnologia pone a sua disposizione per dimostrarci che i punti di vista sono infiniti.Mettendo a dura prova le capacità percettive dello spettatore Lino Strangis gioca con la realtà riproponendola da ogni prospettiva possibile. Ingrandite,ridotte, ravvicinate, rallentate o velocizzate, le immagini del mondo si mostrano contemporaneamente. In No Gravity Match on the World Strangis svela simultaneamente i profili esistenti dello stesso evento. I giocatori di rugby, come eserciti che si scontrano su un campo di battaglia, gareggiano sul terreno da gioco. I corpi si scontrano, si accavallano, si sovrastano, creando a volte composizioni circolari che si sovrappongono alla forma stessa del pianeta Terra. Strangis svela il conflitto, il braccio di ferro tra l’individuo e il mondo che sempre di più si piega al volere e al potere dell’uomo. Ed ecco che la Terra diventa campo di azione e oggetto di contesa allo stesso tempo.Lino Strangis scruta il mondo e le sue realtà. Ne preleva le immagini e le stravolge per edificare un ordine sconosciuto. Altera lo spazio comune e pone lo sguardo su un cosmo dove nulla può accadere una sola volta e tutto quel che esiste è già avvenuto e occorrerà nuovamente. Il mondo non è che un microcosmo, sembra dirci Strangis, un simbolico specchio dell’universo.
1 Voltaire, Candide, Mondadori2 M. C. Escher, Nell’occhio di Escher, Electa, Milano, 20043 W. Shakespeare, La Tempesta, Mondadori4 F. Pessoa, Il poeta è un fingitore, Feltrinelli
Veronica D’AuriaLino Strangis... Rabdomante dell'oltreHo sempre avuto l’impressione che Lino Strangis riuscisse a vedere, ma in generale a percepire, qualcosa che a tutti gli altri sfuggiva, ho avuto la conferma di questo avendo la possibilità di assistere e partecipare alle varie fasi del suo lavoro (dalle riprese alla post-produzione alla composizione sonora) e attraverso questo ho potuto avere un punto di vista nuovo, diverso delle cose. Girando con lui ho riscoperto il fascino delle cose trascurate, degli enti che popolano il nostro mondo che troppo spesso sono invisibili agli occhi dei “passanti”.Sono entrata con lui nel micromondo delle formiche e delle api, ho visto scorrere paesaggi, fiumi, alberi e cieli, ho assistito al fluire di uomini e macchine con occhi nuovi e ho potuto rivederli ancora, sempre diversi, in quella scatola luminosa che accoglie le visioni del mondo e non solo.Prestare attenzione al mondo che ci circonda e di cui siamo parte, ai meccanismi che lo regolano, ai fenomeni e agli enti che lo popolano alla ricerca di nullaltro se non della conoscenza, delle relazioni profonde per il piacere della scoperta con la certezza però che nulla è conoscibile nella sua totalità e che la nostra visione del mondo è condizionata prima di tutto dai nostri organi di senso e in secondo luogo, ma non meno importante, dalla cultura di cui siamo impregnati che in tanti secoli si è costituita. Lino è riuscito a farmi capire ed a farmi vedere attraverso le sue audiovisioni che il nostro è solo uno sguardo possibile nel e del mondo e che ogni essere vivente percepisce la “realtà” in maniera differente perché ha degli apparati percettivi differenti, si pensi alla visione notturna dei pipistrelli o alla percezione spaziotemporale delle mosche. La ricostruzione della realtà che ogni ente opera attraverso i sensi, e quindi l’idea del mondo che ne consegue, deriva dalla propria e singolare costituzione e dai condizionamenti culturali con cui si viene a contatto. La visione occidentale omocentrica, spinta inoltre dal capitale al solo consumo delle cose riducendole a meri mezzi, ha fatto perdere all’uomo la relazione con la natura e con essa il suo stesso “essere” nel mondo. Tornando ad osservare gli esseri ed i moti della natura ci si riavvicina al proprio essere e si comprendono modalità e meccaniche che guidano tutte le cose.Catturando un breve evento, un fenomeno, un frammento di realtà Lino, attraverso il punto di vista e l’inquadratura (operando sullo spazio), i filtri (che come dichiara il nome hanno la proprietà di mutare la realtà e/o la percezione di essa) e modulando il tempo, riesce a far apparire ciò che è quotidiano o comunque “già visto” diverso, altro, svelando aspetti altrimenti invisibili e, oltre a condurci in questa esperienza nell’oltre, riesce a farci riflettere.I suoi “quadri audiovisivi” nascono da una traccia video di partenza che non dura più che pochi secondi e “l’opera finale è il frutto degli sviluppi formali e concettuali delle visioni raccolte” La dimensione concettuale viene costruita quindi a partire dalla rielaborazione dell’evento catturato (e quindi estrapolato dal suo contesto), inteso come processo, momento-movimento chiave che diviene attraverso una ricerca cinetica e spazio/temporale metafora, emblema di una situazione altra, esistenziale relativa all’uomo (affrontando questioni ancestrali –chi siamo, dove andiamo- come quelle più attuali –sistemi di potere e suoi strumenti di attuazione) e/o agli audiovisi riflettendo sulla loro materia, sui loro strumenti e sui loro usi.L’autore stesso dichiara “non mi interessa raccontare storie ma creare processi che propongono concetti in forma di metafora”, Strangis sviluppa una ricerca estetico formale sofisticata e coinvolgente assegnando proprio a quegli elementi “spesso degradati dai linguaggi dell’industria a vuota decorazione” il compito di “costruire il senso” di cui il titolo dell’opera costituisce una delle chiavi d’interpretazione offerte dall’artista.Le alterazioni operate sono quindi veri e propri “veicoli di senso”; per far ciò egli utilizza gli strumenti stessi dell’audiovisione (andando ad agire sulla percezione) e la scatola luminosa che non smette di animare con videopresenze, eventi quasi banali trasformati in epifanie. Utilizzando il loop l’artista “mette” nel-al mondo delle presenze altre rendendole “reali”, facendole così processarsi nello spaziotempo (tendenzialmente) all’infinito.Quelle che Strangis ci offre sono “singole esperienze da vivere fino in fondo”, non gli interessa affatto “ammassare gli impulsi per confondere ma concentrarli per scuotere”.In questo si contrappone fortemente al carattere tipico della televisione odierna, vittima del potere e del sistema di consumo. Come egli stesso riferisce “la televisione ci bombarda di immagini e suoni in velocissima ed ininterrotta sequenza, le percezioni e le informazioni vengono e vanno così velocemente da non lasciare il naturale tempo di elaborazione, sono così svuotate del loro valore di esperienza vissuta”, le sue opere sono invece “eventi singoli e permanenti” (dato che sono progettate per andare in loop e stabilire quindi una presenza continuativa nello spazio e nel tempo) dal potente carattere ipnotico… Il senso infatti quasi sempre emerge in un secondo momento mentre sulle prime agisce un coinvolgimento prettamente sensoriale dato da un mix di immagini dal forte carattere evocativo in “reazione chimica” con ambientazioni sonore fortemente psicoattive che riescono a far vibrare zone remote della mente.Un carattere fondamentale del suo operare è inoltre la relazione che instaura con il luogo, con l’ambiente che entra a far parte dell’opera stessa contribuendone alla costruzione di senso. Questo avviene sia nel caso in cui l’artista cattura immagini e suoni dal luogo dove andrà ad installare l’opera (intessendo poi relazioni tra le due “realtà”) sia coinvolgendo lo spazio all’interno dell’opera, avvolgendolo con i suoi suoni “spaziali” e con le luci delle sue “visioni”. Strangis crea degli ambienti in cui immergersi totalmente, in cui le audiovisioni si espandono generando una dimensione totalmente altra.Sono grata a Lino che, nonostante le mille difficoltà che ha dovuto affrontare nel suo cammino (e vi assicuro sono state tante), ha deciso di continuare questa difficile strada continuando a regalarci le sue esperienze audiovisive capaci di aprire alcune delle porte più inaccessibili della mente e della conoscenza.
Alessandra Troncone
Audiovisivi e audiovisioni nell’opera di Lino Strangis
Ci sono due componenti distinte ma complementari nel lavoro di Lino Strangis, cui sono legati diversi livelli di lettura e di fruizione: l’uso del video - con tutti processi che concorrono alla sua realizzazione e manipolazione – e il luogo concepito per presentarlo o, meglio, per ospitarlo. Anche la mostra personale di Lino pensata per la Sala 1 insiste su questo duplice aspetto, rispettando il modus operandi dell’artista che è andato consolidandosi negli ultimi anni: lo spazio della galleria è trasformato in un’insolita camping area, con le tende chiamate a fare da architetture/contenitori per i video esposti.Un’occupazione pacifica che richiama quelle – forse meno pacifiche – che hanno costituito il quid di progetti quali Segnali Viandanti e Video Art Mini-Store e che erano già in nuce nella mostra Presenze video-soniche al Castello della Cervelletta. Un’indagine sui luoghi che si sposa perfettamente con quella che è la poetica di Lino, fondata sulle modalità di percezione in relazione al contesto e all’esperienza soggettiva.Proprio al Castello della Cervelletta - dove ho avuto modo di vedere per la prima volta un lavoro di Lino installato - il messaggio del video si ampliava grazie allo spazio circostante, un sotterraneo scelto in qualità di metafora della sterilità di un approccio al mondo unilaterale. Il luogo angusto, privo di aria e luce, trovava sfogo grazie al Video-Carillon situato nella nicchia, trait d’union con l’esterno e occasione per guardare oltre.Anche La voce degli inascoltabili, presentato proprio dove gli inascoltabili protagonisti vivono e si confrontano con i quotidiani problemi di un’esistenza disagiata, riproponeva l’immediato rapporto tra contenuto e contenitore: immedesimandosi nello stesso stile di vita degli occupanti, l’artista ha lavorato per restituire un affresco sonoro e visivo che ancora una volta mostrava l’inossidabile legame con il luogo in cui era stato concepito ed installato.La volontà di andare al di là dello sguardo ordinario è leit-motiv presente tanto nella realizzazione dei video che nella scelta dei contenitori atti ad accoglierli; basti pensare al progetto Video Art Mini-Store, dove l’arte portata negli spazi commerciali si insinuava nella vita di spettatori occasionali e ignari passanti, chiamati a soffermarsi sulla bellezza del volo di rondini protagonista dell'installazione audiovisiva monocanale Sky-Noise… Armonie del caos.La ricerca dunque sui processi metaforici che dà il titolo a questa nuova mostra prende strade differenti che si incrociano in più punti, contribuendo a costruire una complessità di fondo che non perde però la sua immediatezza percettiva.Alla base di tutto ciò c’è la forte consapevolezza da parte dell’artista di voler operare sulla realtà, sia essa un paesaggio naturale che uno scenario metropolitano. L’intento non è quello di restituirla fedelmente, quanto piuttosto di suggerire una propria interpretazione tramite il mezzo stesso, che va poi a completarsi con la ricezione da parte dello spettatore.È per questo motivo che la postproduzione assume un ruolo fondamentale nel processo di costruzione di senso; il montaggio – ma anche la rielaborazione digitale di suoni e immagini – ritrova la sua natura intrinsecamente politico-sociale, facendo da filtro rispetto a quella che è la semplice resa del reale. Un procedimento che non solo lega il lavoro di Lino alla forza sovversiva delle ricerche delle prime Avanguardie ma lo colloca di diritto nella rosa di artisti schierati da Nicolas Bourriaud nel suo Post-production, dall’emblematico sottotitolo di Come l’arte riprogramma il mondo. Anche Lino Strangis è un websurfer, anzi, un tvsurfer, un moviesurfer, un realitysurfer. È un semionauta nel suo incessante muoversi tra segni e canali diversi, estrapolando ciò che gli serve per offrire la propria (audio)visione del mondo. I suoi video sono così non narrativi ma evocativi di una data contingenza spazio-temporale, che si protrae nell’esperienza grazie a tracce è anche la complessità insita nell’opera, oltre a porsi come motivo di riflessione sulla convivenza dei concetti di temporaneo e permanente.Nella scelta dei ‘contenitori’ viene così reiterato il senso delle operazioni svolte in fase di elaborazione e postproduzione dei suoi video: gli interventi sul dato reale appaiono tanto nel prodotto che nel suo contesto.È dalla conoscenza degli strumenti audiovisivi che Lino Strangis crea le sue audiovisioni; al sito o struttura spetta il compito di amplificare la potenza di un messaggio già chiaramente implicito nel mezzo.sonore ipnotiche che sottolineano o alle volte contrastano la componente puramente visiva. Come in Posologia del pericolo, dove la traccia audio incalza incrementando l’attesa per qualcosa che non arriverà, snaturando la funzione della soundtrack cinematografica concepita di solito per dare risalto all’azione.Le metafore di Lino Strangis si fanno motivo di riflessione su tematiche che investono l’identità e la relazione con l’altro, presentate in forma sfaccettata come nel recente Multi-identity man: alla frammentazione del soggetto corrispondono altrettante stratificazioni di significato ed altrettante percezioni del soggetto stesso, presentate in simultanea in immagini che vedono un contemporaneo uomo vitruviano immerso nei colori acidi delle alterazioni digitali. Alla metafora della molteplicità insita nell’unicum si associa quella della transitorietà del passaggio umano in One moment, visivamente espressa dall’inarrestabile viavai nella stazione Termini, ed entrambe sembrano poi convergere nella metafora che ha per oggetto gli infiniti e complessi cicli di vita, condensati nel video Breve tempo di morte e di vita. Installato di recente in un igloo, quest’ultimo lavoro diviene ulteriore esempio del rapporto con lo spazio e dell’importanza che esso assume nel processo di attribuzione di senso. “Congelato” nella struttura polare, il fossile di Lino sta lì ad identificare quella stratificazione che è anche la complessità insita nell’opera, oltre a porsi come motivo di riflessione sulla convivenza dei concetti di temporaneo e permanente.Nella scelta dei ‘contenitori’ viene così reiterato il senso delle operazioni svolte in fase di elaborazione e postproduzione dei suoi video: gli interventi sul dato reale appaiono tanto nel prodotto che nel suo contesto.È dalla conoscenza degli strumenti audiovisivi che Lino Strangis crea le sue audiovisioni; al sito o struttura spetta il compito di amplificare la potenza di un messaggio già chiaramente implicito nel mezzo.
Audiovisivi e audiovisioni nell’opera di Lino Strangis
Ci sono due componenti distinte ma complementari nel lavoro di Lino Strangis, cui sono legati diversi livelli di lettura e di fruizione: l’uso del video - con tutti processi che concorrono alla sua realizzazione e manipolazione – e il luogo concepito per presentarlo o, meglio, per ospitarlo. Anche la mostra personale di Lino pensata per la Sala 1 insiste su questo duplice aspetto, rispettando il modus operandi dell’artista che è andato consolidandosi negli ultimi anni: lo spazio della galleria è trasformato in un’insolita camping area, con le tende chiamate a fare da architetture/contenitori per i video esposti.Un’occupazione pacifica che richiama quelle – forse meno pacifiche – che hanno costituito il quid di progetti quali Segnali Viandanti e Video Art Mini-Store e che erano già in nuce nella mostra Presenze video-soniche al Castello della Cervelletta. Un’indagine sui luoghi che si sposa perfettamente con quella che è la poetica di Lino, fondata sulle modalità di percezione in relazione al contesto e all’esperienza soggettiva.Proprio al Castello della Cervelletta - dove ho avuto modo di vedere per la prima volta un lavoro di Lino installato - il messaggio del video si ampliava grazie allo spazio circostante, un sotterraneo scelto in qualità di metafora della sterilità di un approccio al mondo unilaterale. Il luogo angusto, privo di aria e luce, trovava sfogo grazie al Video-Carillon situato nella nicchia, trait d’union con l’esterno e occasione per guardare oltre.Anche La voce degli inascoltabili, presentato proprio dove gli inascoltabili protagonisti vivono e si confrontano con i quotidiani problemi di un’esistenza disagiata, riproponeva l’immediato rapporto tra contenuto e contenitore: immedesimandosi nello stesso stile di vita degli occupanti, l’artista ha lavorato per restituire un affresco sonoro e visivo che ancora una volta mostrava l’inossidabile legame con il luogo in cui era stato concepito ed installato.La volontà di andare al di là dello sguardo ordinario è leit-motiv presente tanto nella realizzazione dei video che nella scelta dei contenitori atti ad accoglierli; basti pensare al progetto Video Art Mini-Store, dove l’arte portata negli spazi commerciali si insinuava nella vita di spettatori occasionali e ignari passanti, chiamati a soffermarsi sulla bellezza del volo di rondini protagonista dell'installazione audiovisiva monocanale Sky-Noise… Armonie del caos.La ricerca dunque sui processi metaforici che dà il titolo a questa nuova mostra prende strade differenti che si incrociano in più punti, contribuendo a costruire una complessità di fondo che non perde però la sua immediatezza percettiva.Alla base di tutto ciò c’è la forte consapevolezza da parte dell’artista di voler operare sulla realtà, sia essa un paesaggio naturale che uno scenario metropolitano. L’intento non è quello di restituirla fedelmente, quanto piuttosto di suggerire una propria interpretazione tramite il mezzo stesso, che va poi a completarsi con la ricezione da parte dello spettatore.È per questo motivo che la postproduzione assume un ruolo fondamentale nel processo di costruzione di senso; il montaggio – ma anche la rielaborazione digitale di suoni e immagini – ritrova la sua natura intrinsecamente politico-sociale, facendo da filtro rispetto a quella che è la semplice resa del reale. Un procedimento che non solo lega il lavoro di Lino alla forza sovversiva delle ricerche delle prime Avanguardie ma lo colloca di diritto nella rosa di artisti schierati da Nicolas Bourriaud nel suo Post-production, dall’emblematico sottotitolo di Come l’arte riprogramma il mondo. Anche Lino Strangis è un websurfer, anzi, un tvsurfer, un moviesurfer, un realitysurfer. È un semionauta nel suo incessante muoversi tra segni e canali diversi, estrapolando ciò che gli serve per offrire la propria (audio)visione del mondo. I suoi video sono così non narrativi ma evocativi di una data contingenza spazio-temporale, che si protrae nell’esperienza grazie a tracce è anche la complessità insita nell’opera, oltre a porsi come motivo di riflessione sulla convivenza dei concetti di temporaneo e permanente.Nella scelta dei ‘contenitori’ viene così reiterato il senso delle operazioni svolte in fase di elaborazione e postproduzione dei suoi video: gli interventi sul dato reale appaiono tanto nel prodotto che nel suo contesto.È dalla conoscenza degli strumenti audiovisivi che Lino Strangis crea le sue audiovisioni; al sito o struttura spetta il compito di amplificare la potenza di un messaggio già chiaramente implicito nel mezzo.sonore ipnotiche che sottolineano o alle volte contrastano la componente puramente visiva. Come in Posologia del pericolo, dove la traccia audio incalza incrementando l’attesa per qualcosa che non arriverà, snaturando la funzione della soundtrack cinematografica concepita di solito per dare risalto all’azione.Le metafore di Lino Strangis si fanno motivo di riflessione su tematiche che investono l’identità e la relazione con l’altro, presentate in forma sfaccettata come nel recente Multi-identity man: alla frammentazione del soggetto corrispondono altrettante stratificazioni di significato ed altrettante percezioni del soggetto stesso, presentate in simultanea in immagini che vedono un contemporaneo uomo vitruviano immerso nei colori acidi delle alterazioni digitali. Alla metafora della molteplicità insita nell’unicum si associa quella della transitorietà del passaggio umano in One moment, visivamente espressa dall’inarrestabile viavai nella stazione Termini, ed entrambe sembrano poi convergere nella metafora che ha per oggetto gli infiniti e complessi cicli di vita, condensati nel video Breve tempo di morte e di vita. Installato di recente in un igloo, quest’ultimo lavoro diviene ulteriore esempio del rapporto con lo spazio e dell’importanza che esso assume nel processo di attribuzione di senso. “Congelato” nella struttura polare, il fossile di Lino sta lì ad identificare quella stratificazione che è anche la complessità insita nell’opera, oltre a porsi come motivo di riflessione sulla convivenza dei concetti di temporaneo e permanente.Nella scelta dei ‘contenitori’ viene così reiterato il senso delle operazioni svolte in fase di elaborazione e postproduzione dei suoi video: gli interventi sul dato reale appaiono tanto nel prodotto che nel suo contesto.È dalla conoscenza degli strumenti audiovisivi che Lino Strangis crea le sue audiovisioni; al sito o struttura spetta il compito di amplificare la potenza di un messaggio già chiaramente implicito nel mezzo.
Nessun commento:
Posta un commento